Disfunzione erettiledove comprare cialis on lineSAN FRANCESCO DI PAOLA PROTETTORE DELLA CALABRIA E DELLA GENTE DI MARE Parrocchia "S. Rocco e S. Francesco di Paola" - Pizzo
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QUEL “COLPO” AL SANTUARIO DI PAOLA Venticinque anni fa l'oltraggioso furto delle reliquie di San Francesco Due reliquie di San Francesco che fanno parte del "bottino" mai restituito nel furto nel 1983 al Santuario di Paola Il dolore dei devoti e il rimpianto per quei beni mai restituiti "LA nostra epoca è ossessionata dal desiderio di dimenticare ed è per realizzare tale desiderio che si abbandona al demone della velocità". Questo giudizio dello scrittore ceco Milan Kundera è illuminante per comprendere come mai uno dei casi che ha scosso profondamente la Calabria, con una vasta eco pure a livello nazionale e internazionale, oggi sia caduto nell'oblio.
La mattina, del 3 ottobre 1983, durante il Gr2 delle 7.30, l'Italia venne destata dalla sconvolgente notizia che, durante la notte, ignoti erano penetrati nel Santuario di Paola ed avevano asportato tutte le reliquie. A1 di là, dell’ alto valore artistico di alcuni reliquiari, tra cui una croce in argento sbalzato che aveva attirato l'attenzione di noti studiosi quali il Lipinsky, Gallo e Frangipane, il fatto che avessero rubato le ossa del Patrono principale della Calabria, oltre a provocare sgomento tra milioni di devoti, rappresentava un chiaro segnale che stava finendo un'epoca. Infatti, chi mai avrebbe potuto immaginare che la, malavita, che sino ad allora aveva dimostrato un timore reverenziale verso il Santo delle "bastonate", si sarebbe spinta a violare così platealmente uno dei luoghi simbolo della Calabria? II furto fu pianificato. Passate le 21 di domenica 2 ottobre, attraverso il diversivo di un imponente incendio fatto scoppiare sulle montagne che sovrastano il Santuario, il convento venne sguarnito di frati ed operai, di modo che la banda di ladri poté agire indisturbata. Neutralizzato pure il sistema d'allarme - come ciò sia avvenuto è rimasto un mistero -furono dapprima segate le sbarre della, finestra soprastante il sepolcro del marchese Spinelli. Quindi, almeno due uomini si sono calati all'interno della Cappella del Santo e, dopo aver scardinato il cancello di ferro e la porta laterale, hanno fatto entrare gli altri complici. Mentre hanno trovato difficoltà ad asportare la porticina, del tabernacolo ed il paliotto incastonato di topazi e di ametiste, è stato invece un gioco rompere i vetri protettivi e fare man bassa dei reliquiari in argento. Il bottino fu consistente: Furono trafugati l'urna, dal peso di 25 Kg., ove erano custodite le ossa di S. Francesco arrivate nel 1935 dalla Francia; il mezzobusto, attributo ai primi decenni del’ 600, all'interno del quale vi era una frammento della, costola del Santo; una croce d'altare della, seconda metà, del XV sec.; la teca con il dente molare; tre reliquiari con indumenti (tunica,, cappuccio e calza); la teca con la corona del Rosario (1954); un reliquiario con un altro frammento osseo; le due custodie sagomate per . gli zoccoli e la lampada votiva, inaugurata il 13 ottobre 1947. Successivamente, per dileguarsi più agevolmente, nell'attiguo orto conventuale è stata fatta la selezione della refurtiva, abbandonando la base del mezzo busto e l'ingombrante struttura in ottone della lampada,, ripulita degli ornamenti argentei, tra cui le figure muliebri rappresentanti le tre. province calabresi. Di quanto è stato rubato non è stato finora ritrovato nulla. L'impresa lasciò tutti attoniti, anche perché il furto era avvenuto durante le celebrazioni per il V centenario della, partenza di S. Francesco alla, volta della Francia. Superato lo choc iniziale, Dino Trabalzini, arcivescovo di Cosenza, e Antonio Castiglione, Superiore Generale dei Minimi, diramarono un comunicato stampa nel quale, dopo aver deprecato l'atto sacrilego, rivolgevano questo appello ai malviventi: «Mentre ci si interroga sui moventi di un gesto così impensabile, non possono fare a meno di rivolgersi ai detentori del prezioso patrimonio religioso sottratto alla devozione di milioni di persone, perché diano un segno di umana sensibilità, certamente presente anche in loro, restituendo al popolo di Dio almeno le reliquie del Santo». Ritenendo che il furto era opera di un commando di specialisti che aveva agito con fini estorsivi, attraverso questo passaggio del comunicato si voleva allacciare un contatto, mettendo in conto anche la possibilità di un'eventuale di richiesta di riscatto. Infatti, in un'intervista il padre provinciale del tempo arrivò a dichiarare: «Siamo pronti a vendere tutto quanto possediamo. Sono certo, pero, che in questo caso non saremmo soli. Con noi ci saranno tutti i calabresi». II contatto ci fu, ma all'appuntamento, fissato in casa di un sacerdote dell'alto Tirreno cosentino, non si presentò nessuno. Molto verosimilmente l'alta posta in gioco, il clamore suscitato della vicenda peraltro rilanciata anche dalla stampa estera, senza escludere l'intervento di qualche uomo d'onore, avranno indotto i mandanti a rivedere i propri piani. Di pari passo con lo svolgimento delle indagini, nell'antica Basilica fu avviato un triduo di riparazione e di supplica per riavere le reliquie. Per venerdì 7 ottobre fu fissata una processione penitenziale, che fu guidata dallo stesso Arcivescovo di Cosenza.
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